26 maggio 2007

"Poca cultura. E la creatività di un Paese svanisce" di Francesco Alberoni

Se un Paese perde le sue radici culturali, la sua storia, la sua arte, la sua lingua diventa incapace di creare, e svanisce. Al tramonto dell'impero romano, gli artisti non erano più capaci di fare un ritratto, di scolpire una statua, nemmeno un capitello. E oggi io vedo, in Italia e in Europa, la stessa pericolosa decadenza della capacità di creare. L'Italia distrutta e povera del dopoguerra ha prodotto un grandissimo cinema e grandi scrittori come Moravia, Buzzati, Gadda. E pensiamo alla fioritura culturale francese con pensatori come Sartre, Camus, Barthes, Foucault, Morin. Ma non voglio annoiarvi con i nomi. Basta dire che questi due Paesi, anche da soli, davano un contribuito essenziale alla cultura mondiale.
Oggi non è più così. E non si può attribuirlo, all'improvviso irrompere di autori indiani, cinesi, giapponesi o arabi. Dobbiamo domandarci se non abbiamo compiuto qualche errore fatale.

Io penso di sì. L'abbiamo fatto quando abbiamo incominciato a disprezzare la nostra cultura, la nostra storia, la nostra scuola classica, la nostra filosofia, la nostra lingua, quando abbiamo rinunciato a prendere come modelli da imitare i nostri grandi personaggi. E quando abbiamo ristretto i programmi scolastici di italiano, di latino, di storia, di filosofia, a pensare che tutto si possa ridurre ad apparenza, immagine. A credere che la lingua, il pensiero razionale sistematico non siano più importanti e si possa fare ogni cosa improvvisando, e che basti un vocabolario di mille parole. E che la storia sia inutile, per cui anche i manager, i professionisti, i politici affermati spesso non sanno chi erano Giacobbe, Teodorico o Ruggero Bacone e, nonostante la mondializzazione, non sanno nulla della storia dell'India o della Cina.

Certo, conoscono i cantanti, i calciatori, i politici, seguono i talk show e sfogliano i giornali. Ma questo tipo di cultura non consente di leggere e di capire un qualsiasi libro serio di saggistica o di filosofia. E chi non sa leggere questi libri non saprà mai nemmeno scrivere. E nemmeno fare un progetto, perché non saprà pensare in grande e in modo logico e sistematico. Ma paradossalmente questa cultura non basta nemmeno a fare buoni programmi televisivi (che, infatti, ormai acquistiamo dall'estero) e film che si impongano nel mercato mondiale. Se non vogliamo svanire dobbiamo tornare a spostare tutti i nostri standard verso l'alto: verso il rigore, la cultura, la fantasia, l'eccellenza.

Alberoni
Corriere della Sera, 26 febbraio 2007

Olga

19 maggio 2007

Si può imparare da tutto il mondo..

Spesso sento parlare e parlo di “memoria”. Tuttavia, ad essere sincera, portandole sempre il massimo rispetto, io non sono mai riuscita, probabilmente a causa dell’età e delle poche esperienze, ad individuare dentro di me il motivo preciso e reale per cui la memoria è importante e deve essere coltivata, sempre.
Bene, finalmente sono riuscita a dare il mio significato alla memoria, il motivo della sua fondamentale e umanitaria importanza. Come ho fatto?? Pensate voi, sono andata ad una conferenza sul Sud Africa al Palazzo della provincia di Milano!
In quelle tre ore, varie personalità quali il console sud africano N.N. Nokwe, il vicepreside del Parklands College di Cape Town Kevin Wildschut, Marcello Flores un docente universitario di Siena, la scrittrice Itala Vivan e Roberto Pedretti dell’università di Milano, hanno cercato, ognuno approfondendo un aspetto diverso, di comunicare e fare comprendere i valori e gli obbiettivi del processo di “ricostruzione” che il Sud Africa ha dovuto e voluto intraprendere dopo il 1994, data che segna la liberazione del paese dal regime dell’apartheid (=istituzionalizzazione, legalizzazione e internalizzazione del razzismo da parte dei bianchi contro i neri e la seguente trasformazione del concetto di razza in violenza).
Un chiaro esempio della filosofia con cui si è portato avanti questo processo, che rende pratico il valore della memoria, è la costituzione da parte di Nelson Mandela della TRC (=Truth and Reconciliation Commission); e a partire dalla commissione, fino ai metodi e il cammino fatto di questo organismo emerge ciò che i sud africani del 1994 hanno considerato “memoria”: un processo di elaborazione, comprensione ed infine espiazione.
Fin dai primi momenti infatti, questa commissione chiese una libera testimonianza di tutti coloro i quali, sopravvissuti all’apartheid, avessero subito violenze, neri o bianchi che fossero(dalla TRC vennero infatti esaminate anche le violenze commesse durante il periodo di liberazione dai neri sui bianchi, agendo in base ad una semplice verità: la violenza è sempre violenza); e questo non per intraprendere successive campagne di persecuzione contro i colpevoli, ai quali se richiesta dagli stessi veniva concessa l’amnistia (!!), ma in primis per offrire proprio al testimone una possibilità di esternazione e di condivisione con la collettività del dolore provato e permettergli quindi di oltrepassare con l’analisi quelle atroci violenze subite e non rimanere segregato nel rancore e nella paura.
La TRC cercò appunto di investigare e stabilire le dimensioni di tutte quelle violazioni dei diritti umani avvenute dal marzo 1960 al 1994 basandosi su questo metodo molto democratico, estremamente legato alla cultura africana della condivisione dell’esperienza e del racconto orale collettivo, dovuto anche però ad una necessità umana, richiesta dal popolo, di chiarezza e trasparenza.
Per ricostruire uno stato e una democrazia tramite la riconciliazione. La TRC agì infatti riflettendo sul passato ma con lo sguardo costantemente rivolto al presente e al futuro, conscia del fatto che dopo aver raggiunto tali livelli di violenza e sopruso, solo analizzando i sentimenti e le reazioni che si erano andati a delineare e nelle vittime(da entrambe le parti) e nei carnefici (da entrambe le parti), si sarebbe potuto costruire un nuovo stato( che però doveva, deve e dovrà tenere sempre ben presente il suo passato, che è parte di sé, e non dare mai per scontata la sua libertà).
È stato quindi messo in pratica quel famoso detto “imparare dai propri errori”, cosa che sembra alquanto difficile già nelle piccole cose, nelle nostre singole vite, immaginiamoci a livello collettivo, dove sentimenti come la vendetta e la giustizia popolare sono diffusissimi.
Tuttavia il Sud Africa, vedendo nell’errore la possibilità di miglioramento, è riuscito a costruire uno stato libero e stabile, che, benché attanagliato da enormi e pesantissimi problemi (dalle baraccopoli all’analfabetismo), basa sia le sue relazioni internazionali sia la sua politica interna sul massimo rispetto della figura umana e dei suoi diritti.
E quindi sorge chiaro il significato di “memoria”: il porsi nell’atteggiamento di analizzare e comprendere gli avvenimenti, interiorizzare le cause dell’errore, superare dal punto di vista psicologico e quindi comportamentale le mentalità e i comportamenti che hanno portato allo sbaglio. Cioè purificazione ed espiazione.
All’uscita da questa conferenza voglio sottolineare di essermi sentita felice e di aver avuto uno spontaneo e emblematico sorriso sulle labbra: ho compreso infatti che anche nell’agire noi uomini possiamo dimostrarci “buoni” ed intelligenti, e che, se vogliamo, avendone tutte le capacità, sappiamo farci del bene e non del male.

ECCO ALCUNI TESTI SULL’ARGOMENTO:
Terra del mio sangue, Antjie Krog
Frutto amaro, Achmat Dangor
Vergogna, J. M. Coetzee
Cercando Lindiwe, Valentina Acava Mmaka
Ritratti e un vecchi sogno, Kader Abdolah

Olga

17 maggio 2007

Non è politica ma...

E' tardi lo so, ma vorrei fare presente a tutti che alle 21.00 di questa sera (fra 40 minuti......:)) all'auditorium La Filanda di Cornaredo si terrà una serata dedicata a Fabrizio De Andrè: parteciperanno musici, cantanti e gruppi che si impegneranno nel riproporre le poesie, le canzoni e le storie del grande Faber..
ingresso gratuito!!!
ciao ciao a tutti!

Olga

09 maggio 2007

Parchi a pagamento

La costruzione dei parcheggi a pagamento continua senza sosta nelle nostre città. Si paga per parcheggiare anche in ospedale per la visita a un malato. I parcheggi hanno un fine speculativo. Servono a far guadagnare chi concede le aree, chi costruisce, chi incassa per i posteggi. Non servono a diminuire il traffico. Infatti lo aumentano. Più posti macchina, più macchine.Se il fine del parcheggio è il lucro, per cambiare le cose bisogna usare il contro lucro.
Costruiamo parchi a pagamento al posto dei parcheggi. Parchi curati, controllati. Senza panchine rotte, escrementi di cane, siringhe e tossici. Parchi per bambini. Per persone anziane. Per chi vuole leggere un libro sdraiato sull’erba. Con un controllo all’ingresso.Pagare per avere ciò che ci spetterebbe di diritto sembra una follia. Ma se è l’unico modo per riappropriarci del suolo pubblico, facciamolo. I parchi cittadini a pagamento sarebbero strapieni, una piccola tariffa di ingresso può essere sufficiente. Eviteremmo in parte gli esodi dei fine settimana per vedere una quercia o una mucca.
Alcuni suggerimenti per chi vuole cambiare scatole di metallo con alberi:
- Pretendere dal comune di cintare il marciapiede all'uscita del vostro portone con eleganti barre d’acciaio. Stile Amsterdam. Il piccolo rettangolo di terra occupato dalla lamiera in pochi mesi diventerà un prato. Si può fare.
- Raccogliere il più alto numero di firme per riconvertire una piazza trasformata in un parcheggio in un giardino pubblico. Si tratta di sloggiare cinquanta/sessanta macchine del c..o per restituirla ai cittadini. Perchè è dei cittadini.
- Costituire Gruppi di Acquisto (GAS) per i parchi per fare un’offerta per le aree pubbliche adibite o destinate a parcheggi.Piccoli prati, giardini pubblici, parchi a pagamento. E’ possibile. Dimostriamo che è possibile

05 maggio 2007

la meglio gioventù

Oggi ho assistito a una scena sul pullman che mi ha fatto riflettere..
Tornando a casa da scuola sul pullman dell’atinom per Busto Garolfo ho ascoltato una specie di conversazione fatta da dei ragazzi di un anno in meno di me che abitano a Cornaredo. Un ragazzo si vantava di avere a scuola più della metà delle materie “sotto”, sostenendo però il fatto che può ancora benissimo recuperarle e che comunque il problema non si pone perché, “dai, oh, ma secondo te possono bocciare me?uno come me??ma ti prendo a schiaffi e vedi se mi bocci...”.
Naturalmente tutti i suoi amici lo osannavano e ad uno ad uno sono andati a “descrivere” le varie situazioni scolastiche accompagnate da una caterva di insulti nei confronti dei professori, quantità esorbitanti di parolacce e un generale atteggiamento di superiorità su tutto e tutti.
Certo, forse esagero a vedere un atteggiamento e un modo di essere dietro ad una semplice conversazione di pochi minuti, fatta nel tornare a casa da scuola, quando si è stanchi e si dicono un po’ di cazzate con la mente ancora nelle ore piene di parole appena trascorse. Però non penso che quel ragazzo non credesse alle cose che ha detto né che non ci fosse convinzione in una frase quale “siamo come gli albanesi” detta con disprezzo e sbuffando appena salito sul pullman nel vedere che era pieno di gente e bisognava stare in piedi, tutti accalcati.
Mi sento triste a volte vedendo e sentendo queste cose, ne ho spesso paura perchè se da una parte concepisco la limitatezza e l’ignoranza che stanno alla base di questi comportamenti e non ritengo possano essere abbracciati da poi così tante persone, dall’altra vedo il sempre più veloce diffondersi degli stessi. E spesso, a rendere ancora più grave la situazione, noto che a questi comportamenti, un po’ da sbruffoni e prepotenti, si stanno affiancando sempre più visioni razziste (se pur affrontato in termini superficiali, quanto mai in crescita fra i ragazzi fin dai 14 anni).
E ciò appunto mi spaventa. In quei momenti mi piacerebbe fermare tutto, il pullman che va, le chiacchiere, il tempo, alzarmi avvicinarmi a loro ad uno ad uno, prenderli per mano e condurli per un giorno nella vita di qualcun altro, nella mia se vogliamo e allontanarli da tutti quei paletti, quelle chiusure mentali delle mode, dell’essere tutti uguali, fare vedere loro che forse loro stessi si sentirebbero meglio e anche più a loro agio in un mondo più aperto, più vario, fatto di ragionamenti e di studio, di conoscenza e di informazione, di rispetto, di impegno.
E l’impegnarsi in qualcosa alla nostra età è fondamentale, qui sta la base di tutta la nostra vita probabilmente.
Tuttavia sorge naturale il chiedermi se, di fatto, loro capirebbero i limiti di quei comportamenti, se guardandoli da fuori li giudicherebbero loro stessi sbagliati; se si renderebbero conto, datagliene la possibilità, della pochezza e della gravità di determinate frasi e determinate azioni che spesso gli altri sentono o vedono fare proprio da loro. E purtroppo sono più portata a rispondere NO, non se ne renderebbero comunque conto; non so per quale motivo né in virtù di quale ideale, ma sento che questi ragazzi sono consci di questo loro modo di essere e se ne dimostrano fieri, sono tracotanti ma si sentono assolutamente giustificati e “giusti”.
E siccome in questo mondo sempre più vario e globalizzato non si andrà da nessuna parte con questi comportamenti ed anzi si rischierà di fomentare contrasti e divergenze, io vorrei aiutare questi ragazzi, a partire da mio cugino ad esempio e fargli capire, e con lui a tutta la compagnia, che l’andare in motorino nel parco è SBAGLIATO, che nuociono alla società e soprattutto direttamente a loro stessi; che distruggere uno dei due centri giovani presenti Cornaredo (che di strutture per i ragazzi non è che ne abbia molte....) è quanto di più ignorante e inutile si possa fare; che rompere i giochi di un parchetto appena rimesso a nuovo è ignobile.
Ma loro non si rendono conto che queste loro azioni andranno sotto tutti i punti di vista a gravare su tutta la comunità, tanto a casa non si sentono rimproverare, i vigili sanno di poterli sfottere e picchiare, i parchetti e i centri giovani sanno che verranno ricostruiti...

Olga

03 maggio 2007

Libera satira?

"da l'Unità del 3 maggio"


Il primo maggio, a piazza San Giovanni, un giovane comico, Andrea Rivera, critica quel Vaticano che ha concesso i funerali religiosi a Francisco Franco, Pinochet, a un boss della banda della Magliana ma li ha negati a Welby. Poi dice qualcosa a proposito del Papa che nega l’evoluzionismo e della Chiesa «che non si è mai evoluta». La folla di ragazzi ride e applaude il ragazzo come loro. L’aria è festosa. Si passa alla prossima canzone. L’indomani, ieri mattina, l’«Osservatore Romano» titola: «Anche questo è terrorismo» e scrive di «vili attacchi al Papa». C’è da trasecolare davanti a una così incredibile sproporzione tra causa ed effetto. Il terrorismo (questo Paese lo conosce bene) sequestra, uccide, commette stragi spaventose. È sangue e disperazione. Certo, è anche terrorismo quello che sparge odio e indica bersagli. Ma cosa ha detto di terroristico Rivera? Le esequie concesse a feroci dittatori e spietati boss non sono forse fatti incontestabili? La Chiesa avrebbe fatto male a rifiutarle. A nessuno va negata una luce di salvezza. Ma perché quel no a Welby che così dolorosamente ha colpito tanti credenti? La Chiesa che non si è mai evoluta? Non è così. Una battuta debole, non certo un sacrilegio. Ma se anche la frase fosse stata irriguardosa, scriteriata, che senso avrebbe bollarla con espressioni adatte per un rifiuto della società, un assassino? Gli uomini di Chiesa minacciati dalla canaglia meritano tutta la solidarietà. Ma perché usare toni così oltre le righe? Cosa sta succedendo a un magistero fino a poco tempo fa ispirato a tolleranza e misura? C’entra per caso il Family-day? Non sarà il contagio di una politica becera che si genuflette e cavalca il sacro profanandolo?


Antonio Padellaro

01 maggio 2007

Contro le morti bianche

1 maggio. Non so perchè ma a me questa festa piace ancora un sacco. Sarà per la manifestazione della mattina con i sindacati confederali o forse per il concertone di Roma, tanti ragazzi stesi sull'erba fin dall'alba che, dalla Sicilia o da Milano, portano con loro speranze e infinite voglia di vivere.
Quest'anno questa festa è dedicato alle morti bianche. E' assurdo, come ha detto il Presidente Napolitano, morire mentre si lavora, portando a casa un misero stipendio.
Oggi le morti bianche sono troppe, a Sorrento questa mattina hanno perso la vita due turiste e tre operai sono rimasti feriti per la caduta di una gru.
La colpa di tutti questi incidenti? Come sempre va divisa, ci sono poche leggi e quelle poche che ci sono non vengono applicate dai datori di lavoro.
Adesso scusate ma ritorno a vedere il concerto!

Yuri